Robida vuol dire “pianta di rovi” in sloveno. Ma Robida è anche un progetto editoriale, uno di quelli forti, che silenziosamente esistono, testimoni di realtà magiche e rare. Nasce sul confine di due mondi, l’Italia e la Slovenia, dove ha luogo la convivenza di due culture e dove sembra persistere un’atmosfera sospesa tra il passato e il presente. Un luogo che ha dato vita a un progetto editoriale, a Robida.

Incontro Matteo in un locale di Venezia, fuori piove. Lui fa parte di Robida da qualche anno, anche se il progetto ha radici ben lontane che devono essere spiegate.

robida magazine topolò intervista

Matteo, prima di raccontare cos’è Robida, forse sarebbe bello spendere due minuti sul luogo di nascita del progetto, che ha una connotazione particolare.

Topolò, certo. Topolò è un paese di 120 case, però gli abitanti sono una ventina, sono davvero pochissimi. C’è una complessità di fondo del paese dovuta soprattutto a dove sorge, ovvero al confine Italia-Slovenia; si tratta quindi in primo luogo di un confine culturale ma anche linguistico. La valle dove si trova Topolò, infatti, ha un dialetto simile allo sloveno. A livello geografico poi il paese è situato alla fine di una strada. Questo significa che alla fine di quella strada inizia il bosco e se si oltrepassa la montagna si è a Livek, il primo paese sloveno. Per intenderci: partendo da Cividale, raggiungi le valli del Natisone e se prosegui oltre Topolò ti trovi al di là del confine.

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Insomma, a Topolò se salta l’elettricità, salta l’elettricità, se nevica, si sta su. 

C’è una cosa però in questo paese. Un evento annuale che si chiama La stazione di Topolò (Postaja Topolove), per circa quindici giorni a luglio si riuniscono artisti, registi, poeti, musicisti, per dar vita a una manifestazione libera della loro attività artistica. Lo so, la spiegazione è molto vaga, ma d’altra parte è così che appare la manifestazione. Non ci sono orari, programmi o luoghi preorganizzati. A un certo punto quando tramonta il sole si guarda un film, se si è nel bosco si può decidere di ascoltare il musicista che suona o si può decidere di mettersi a scrivere. In questo senso, si genera un senso di comunità davvero grandioso, i topoluciani (è il nome degli abitanti) ospitano i visitatori nelle loro case e si sta insieme per tutta la durata di questo non-festival.

L’idea è nata principalmente da due persone, Moreno Miorelli e Donatella Ruttar. Solo in seguito è nato Robida, il progetto editoriale, gestito invece più dalla seconda generazione, in particolare da Vida e Maria, a cui si sono aggiunti nel tempo Elena, Dora, Janja, Guglielmo e Matteo.

Robida nasce quindi tre anni fa, proprio nel contesto di Topolò. 

Scusa ho paura di divagare troppo, avvertimi se vado fuori tema.

Ma no tutt’altro, anzi, sono informazioni importantissime, perché non è facile trovarne online. Insomma, ho cercato di orientarmi prima di incontrarti, ma Robida sembra essere un progetto un po’ timido, che non vuole farsi vedere.

Sì, è vero. C’è questa volontà di non far vedere troppo, zero pubblicità, zero autopromozione. Se lo cerchi e lo trovi però sei più che il benvenuto. Come se si volesse mantenere la dimensione domestica e intima.  

robida magazine topolò intervista

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A questo punto, come funzione l’elaborazione di un numero? Cosa succede in redazione?

Allora, di base scegliamo un tema monografico per ogni numero. Città, abbandono, silenzio, domestico… una volta scelto, si crea una call aperta a tutti sul sito e su Facebook; in genere diamo una traccia su quel che noi ci aspetteremmo, ma ogni volta arrivano sempre contributi che non avevano previsto. Dalla fotografia, all’illustrazione, alla poesia, insomma non abbiamo vincoli legati al medium. 

Ci è già capitato di dover escludere qualcuno, sì. Sia perché non possiamo fare numero da trecento pagine, essendo tutto autoprodotto, sia per una sorta di coerenza editoriale. Cerchiamo di seguire sempre un filo, per questo se qualcosa non è in linea scegliamo di escluderlo.  

Si aggiunge quasi sempre poi un illustratore per ogni numero, per esempio nel numero uno è stato Chacoco, ovvero Charlotte Chauvin, nel due è stata Laura Savina, mentre nel numero quattro è stata Elena Rucli. Insomma, non c’è sempre una costante, l’importante è che sia in mood Robida.

Per quel che riguarda la distribuzione, invece, abbiamo effettivamente un Bigcartel, però preferiamo le occasioni in cui possiamo spiegare qualcosa del progetto e raccontarlo. Per esempio, quest’estate abbiamo organizzato un evento proprio qui a Venezia. Abbiamo presentato il quarto numero ad una serata organizzata dai fantastici ragazzi di AperiOrto. La partecipazione è stato davvero sorprendente e noi eravamo entusiasti!

Si coglie la mia commozione nel conoscere questo progetto così speciale: ho quasi gli occhi lucidi e ringrazio Matteo per avermi comunicato tutta la bellezza di Robida. Intanto, se sei interessato ecco il Bigcartel.

>> leggi anche l’intervista a Nicolò Canova e a Malva.

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